cinque parole #4: Cristina Pasqua

Cristina Pasqua l’ho letta grazie a Fughe, la sua raccolta di racconti uscita per Pièdimosca; prima l’avevo assaggiata dentro al Multiperso, sempre edito da Pièdimosca. Nel 2001 aveva pubblicato Diciassette per la casa editrice Odradek.
Per quanto ne so, l’unica altra autrice di racconti con cadenze di pubblicazione simili, è Amy Hempel. Se penso a Pasqua e Hempel, non sono solo la forma breve e la dilatazione dei tempi editoriali ad accomunarle, ma anche una chirurgica attenzione alla lingua, il severo affetto per le parole.
Nei racconti di Pasqua colpisce anche la calda disillusione verso gli esseri umani, che mi ha rimandato alla posa che Flanney O’Connor tiene verso i suoi personaggi. E poi la particolare capacità di stare in quegli istanti in cui possiamo vedere la vita prendere la piega del tragico e del comico insieme, che invece mi ha fatto pensare alla prima commedia all’italiana.
Per esplorare il mondo letterario di Cristina Pasqua, queste sono le cinque parole che le ho proposto, e queste sono le sue risposte.

Cinque parole #4: Cristina Pasqua

Tragico

È il senso di protezione che mi dà la pagina a rassicurarmi e spingermi oltre. Con la consapevolezza di essere al riparo, sparo a salve e mi immergo in acque insicure, in luoghi bui dove non vorrei mai ritrovarmi. Dietro una parete di carta, incontro la mia dimensione del tragico. Un coro di voci mi assedia, mi soffia nell’orecchio, parole mi visitano, urgenza mi costringe, mentre tutto sulla pagina, nonostante me, a modo suo, si sgretola.

Parole

Di’ soltanto una parola e io sarò salvato. 
Matteo, vv. 8-10

Non sono credente, ma questa frase è da un po’ che mi ronza in testa. Potrebbe anche diventare un racconto. Per ora si limita a gravitare, a risuonare. Le parole sono caramelle. Dolci, morbide, con il ripieno di crema chimica, l’incarto lucido e crepitante rosso, oppure ruvide alla lingua come il buco con la menta intorno, fondenti di zucchero, odorose di anice, profumate di infanzia e frutta che si sciolgono in bocca. Bisogna sporcarsi le mani, ravanare, assaggiare, assaporare, scegliere, sentire che suono fa, spostare. Ci sono parole necessarie, altre che spintonano per entrare, ce ne sono di sacrificabili, ci sono parole che non hanno tempo, altre che invecchiano subito, rugose, appannate, vuote. Le parole che cerco io finiscono per essere masticate, ingoiate, digerite, diventano parte di quello che io sono, di quello che ero, di quello che sarò.

Dissonanza

dissonanza | s. f. [dal lat. tardo dissonantia; v. dissonare]. […] – 2. fig. Qualsiasi accostamento che produca un effetto disarmonico o discordante.

Treccani, Vocabolario online

Collisioni e fendenti e scarti improvvisi hanno la pretesa di sfociare in un conflitto, nella creazione di un mondo sottosopra o di uno sguardo storto, di un personaggio sbilenco. A volte, se sono fortunata, la dissonanza si incanala e sgorga, nonostante l’assenza preordinata di pensiero.

Animali

Animali sono le torme di coniglietti in Lettera a una signorina da Parigi, il cane che sparisce nella bocca di un coccodrillo in Crime di Welsh o uno dei bastardi che scoppiano di raudi davanti alla corea, sono gli animalini che Libereso regala a Maria Nunziata in Un pomeriggio, Adamo, ma anche Winston ‘Church’ Churchill in Pet Sematary o gli uccelli psicopompi che accompagnano il delirio di Thad Beaumont ne La metà oscura. Gli animali sono mutaforma, sono imprevedibili, sono per me quanto di più affascinante e misterioso ci sia sulla faccia della terra. Anche se ‘animali’ è la parola dell’imbarazzo, perché in ciò che scrivo non si fa altro che vederli morire male o nella migliore delle ipotesi farne lauto pasto. 

Grottesco

Forse la vita non lo è? La mia, in qualche modo, sì. 


Lascia un commento