Come i dischi [2017] sulla luna #1: 21-11

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Disclaimer: questa è la prima parte della classifica dei dischi usciti nel 2017 che ho ascoltato nel 2017 e che hanno accompagnato il mio 2017. In questi anni mi sono reso sempre più conto – nella musica come nella letteratura – che ciò che mi fa apprezzare un’opera d’arte è meno legato al valore dell’opera in sé, che all’esperienza che vivo nel momento in cui interagisco con quella stessa opera. Diciamo, quindi, che questa non è una classifica di valore, ma una storia per punti degli ascolti che più mi sono rimasti addosso in questo 2017.

11. Mark Lanegan_ Gargoyle

Quella di Mark Lanegan è una di quelle voci che, pure se cantasse Tre Parole, mi farebbe emozionare. È una questione di timbro, ma soprattutto di ricordi. Le sue note basse sono una delle mie madeleine musicali. Per questo seguo e aspetto e amo ogni sua uscita. Qui, devo dire, la scelta di un maggiore uso dell’elettronica, mi ha convinto meno. D’altro canto, da ascoltatore legato ai ricordi, sono anche conservatore. Ecco spiegato il suo undicesimo posto, invece del settimo che credo il disco meriterebbe.

12. Barnett & Vile_ Lotta Sea Lice

È brutto quando arrivi all’ascolto di un disco carico di aspettative da santuario e poi non incontri un miracolo ma – cos’altro avrebbe potuto essere? – solo un disco! Questo è ciò che mi è successo con Lotta Sea Lice. Adoro Kurt Vile ed ero convinto che il mix con il timbro e le sonorità di Courtney Barnett avrebbero cambiato le sorti del mondo. Le sorti del mondo, invece, sono ancora le stesse, ma la musica ha un interessante tassello in più, fatto di psych-folk, duetti e atmosfere acide e scanzonate e tese.

13. Broken Social Scene_ Hug Of Thunder

Al primo ascolto mi aveva entusiasmato molto, come la prima volta che mi trovai ad ascoltare i Liars. Wow! Poi, l’innamoramento è un po’ scemato, ma è rimasto il piacere di ascoltare i cori, i ritmi sincopati, le chitarre distorte dei Broken Social Scene.

14. Bully_ Losing

Uscita Sub Pop. Macchina del tempo: il duemiladiciassette sbarca a Seattle, o nella New York dei Sonic Youth, nel millenovecentonovantadue [non è un caso che la loro produttrice si sia formata da Steve Albini]. Effetto nostalgia immediato e cuore spezzato.

15. Queens Of The Stone Age_ Villains

Lungi dal capolavoro, ma lungi proprio. Lungi dalla sorpresa, ma lungi proprio. Ascolto comunque così piacevole e divertente e canonico che spesso mi ha accompagnato.

16. Raveonettes_ 2016 atomized

La mia passione per i Raveonettes è sinceramente ingiustificabile. Il duo danese è una band piuttosto ripetitiva e che, entrata nel solco shoegaze già tracciato dai Jesus & Mary Chain e dai My Bloody Valentine, ha rinnovato ben poco. Eppure non so fare altro che ascoltarli. Ogni uscita è per me la riscoperta del loro sound nero-candy, e tanto mi basta. [Ah, questo è un disco sui generis: frutto di un’operazione fatta nel 2016 per la quale facevano uscire una canzone al mese. Questa è la raccolta dei 12 brani.].

17. Jonwayne_ Rap Album 2

Jonwayne è uno dei rapper underground più interessanti del momento [momento si fa per dire, dato che è in giro da anni]. Lui lavora così: fa uscire ep o singoli e, ogni tot tempo, raccoglie il materiale in album che chiama Rap Album. Questo è il secondo capitolo. Che dire? Pare che il nostro abbia avuto molti problemi a disintossicarsi dall’alcol negli ultimi tempi e, magari è per questo, magari per altro, magari per un mix di cose della vita, il suo stile è rimasto un po’ fermo ai tempi di Cassette On Vinyl: qualche sperimentazione stilistica con produzioni più east del solito, ma nulla di più. Bell’ascolto, interessante, ma che non mi ha mai convinto fino in fondo.

18. Fleet Foxes_ Crack Up

Vedi Kendrick Lamar. Anche i Fleet Foxes non sono usciti di certo con il loro album più convincente, in Crack Up siamo ben lontani dallo sfiorare vette come White Winter Hymnal, ma le loro capacità compositive ed evocative mi hanno comunque portato a scegliere questo ascolto più volte. E poi le voci e le atmosfere che sanno creare aprono sempre dei mondi immaginari cui solo loro sembrano poter accedere.

19. St Vincent_ Masseducation

Non conoscevo St. Vincent. Non condivido – come ho letto sul NY Times – chi osanna Masseducation a disco dell’anno e Anne Erin Clark a genio dell’anno. Devo però dire che Masseducation è un ascolto molto piacevole, fatto di sonorità elettroniche mai banali e dall’approccio glamour, che creano una sensazione di straniamento rispetto alla vena di inquietudine che scorre in sottofondo.

20. Kendrick Lamar_ DAMN

Sarò sincero. Se non fosse per la riverenza che nutro nei confronti di KL, credo che non avrei messo DAMN in classifica. È un disco che non mi ha convinto fino in fondo, soprattutto se lo rapporto all’amore sconfinato che provo per To Pimp A Butterfly. Rispetto al precedente, ho trovato meno fantasia nelle produzioni e una maggiore difficoltà mia a immedesimarmi nelle storie che racconta. Ma tant’è, un disco poco convincente di Lamar rimane per me un disco da ascoltare, da leggere, da imparare.

21. The National_ Sleep Well Beast

Quello dei The National è un bell’album a cui non ho saputo affezionarmi. L’ho incontrato spesso. Spesso ho messo on air alcuni pezzi, meno volte l’album intero; spesso mi sono trovato a pensare Ma sì, dai, diamoci una botta di allegria, però non è mai scoccata la scintilla definitiva.


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